Ipazia: a lei questo libro, perché giovine uomo, incantato dal cielo stellato, ambivo, com’ella, a conoscerne i segreti.
Salivamo su con altri, parimenti incantati, per la collina, a piedi nell’ultimo tratto, in silenzio, dopo lungo percorso sullo sferragliar moderno dei motori.
Il sentiero ci conduceva, come apostoli, da Galileo, là dove egli, dopo 1.200 anni, dovette intrepido e timoroso riscoprir e annunciar ciò che Ipazia aveva già scoperto. L’oscurantismo fanatico e violento dell’estremismo religioso aveva fermato, ingabbiato, potato, compresso per così lungo tempo lo sviluppo della scienza e con ciò della conoscenza e della poesia, che di essa è l’inno, la sintesi, la musica. Dalle stelle le passioni umane: perché dalle stelle, il cosmo, la luce della luna e degli astri, che nella notte ravvivano i nostri pensieri e cullano i nostri sogni, sgorga la poesia, il mito, i credi diversi, l’insaziabile domanda sul chi siamo, da dove veniamo, chi saremo.In queste passioni, il primo pensiero andava ai miei cari d’oltre oceano d’Argentina e Brasile, feriti dai dolori dell’emigrazione e dalle tragedie di dittature spietate e orrende, che portarono il disprezzo umano di quei carnefici sino al piacere della tragica beffa.
Nelle perfezionate scelleratezze di criminali nazisti, colà fuggiti, avvengono nuove tragedie umane, inattesi strazi che ritroviamo in “Ignoto volto”, come in “Occhi di mare”, dove si racchiude la lacerante sofferenza di un amore che costituisce il filo conduttore dello spettacolo “dall’ignoto Tango” messo in scena dalla Compagnia Amedialuz.
Questo stesso filo intreccia l’amore tra poesia e danza, nella seconda parte del libro, allorché sopraggiunge in sogno, ai tanti ballerini interagenti con la Compagnia, l’abate eremita per condurli in assise: un “Incontro notturno prenatalizio” per esporre, gli uni agli altri, i loro sentimenti, ricordi, propositi, ché in segregazione pandemica in altro modo non si potea fare.
Abate eremita: perché nel II sec. d.c. il primo eremita, di Alessandria d’Egitto, nella sua memorabile, estrema emulazione del Cristo nel deserto, dette origine ad una rapida ed estesa diffusione di un premonachesimo, rappresentato dai romiti.
La loro fama corse ovunque grazie ai naviganti, che non potevano sottrarsi all’approdo in quella città, storica bolgia mediterranea di culture, religioni e commerci.
Uno di essi non poteva che giungere sulle colline che dominavano la seconda città e anfiteatro dell’impero romano, dove solo lo sterminato orizzonte poteva placare in preghiera il ribollio del suo animo.
Ecco dunque la sua figura attrattiva in “Il nobil romito” e “Il pio uomo”, la cui lapide funeraria, casualmente ritrovata, conservo preziosamente.
L’intreccio tra il canto del paesaggio, le bizzarrie animali, i giochi del sole e della luna, trovano il loro inno nel parco delle meraviglie e dei maldestri, che contorna magicamente, con sei ettari di verde alberato, il primo integrale recupero di una grande corte tipica rurale, rappresentata da Corte Libanti di Santa Lucia in Verona:
“L’alloro discreto”, ”Perenni”, le
“Meridiane” solare e lunare, che rivendicano il ripristino dello gnomone furtivamente danneggiato e sottratto,
“La pannocchia e il faretto” che fa soffrire Ipazia e gli astronomi tutti che gridano contro l’inquinamento luminoso delle città,
”Pietre parlanti”, che narrano l’arte millenaria dei muri in pietra.
Altre narrazioni, sulla mia terra toscana, inedite e incompiute, incalzano d’esser cantate e, pubblicando questa opera, voglio anche, finalmente, dar loro speranza di venire alla luce.