Con “ROMITI” prende forma la nuova raccolta di versi, sgorgati fra le dolci colline che danno lustro e ricchezza alla splendida città di Verona, cantata in ogni dove da poeti e scrittori.
Queste nuove poesie, vanno ad aggiungersi a quelle che hanno dato vita nel ’95 a “Incanti”, nel 2020 a “Burrasca”, e “Ipazia” nel 2021.
Così ora il Romito, insediatosi alla fine del II secolo d.C., nel punto più alto di quelle colline, dandole il nome, già luogo di avvistamento e di presenza preistorica, ha ispirato il titolo dell’opera.
Con ciò inneggiando a quella schiera di uomini speciali, che nel solco della più profonda e impegnativa narrazione evangelica, si isolarono dal frastuono delle urbe, dalla rincorsa mercantile, la glorificazione bellica e della forza, per trattenere un protetto e continuo dialogo col divino, che nella natura, con la potenza del suo silenzio, prende il ritmo dei cromatismi, l’armonia delle infinite forme, la melodia degli astri celesti, che notte e giorno attraggono e interrogano l’animo umano e lo dispongono alla poesia della vita.
Dunque il bisogno di essere e sentirsi utili nelle più svariate forme: accendendo fuochi notturni sugli irti scogli, a protezione dei naviganti; sulle torri di avvistamento per annunciare alle sottostanti vallate, minacce di invasioni e rappresaglie.
Pellegrinando di sentiero in sentiero, per piani e per monti, a donare la loro intensa parola d’amore e fratellanza, per redimere peccatori, conciliare diatribe, portare la poesia del creato. Nei ROMITI ci sta una parte di noi tutti, uno dei suoi petaliche compongono l’armonia della loro esistenza.
Da ciò scaturisce il rispetto, devozione o ammirazione per il loro operato, giacché nella loro scelta si avvera quell’impulso alla fuga, al ritrarsi, a cercar la quiete, dal trambusto della quotidianità.
Da qui nasce il riverbero dell’autore nel dedicare questa opera allo zio, prima frate francescano, poi sacerdote di una smarrita Rocca laziale. Anch’egli, a modo suo, eremita. Vissuto nella ricercata, estrema povertà, predicazione, ascolto del fraterno bisogno.
“su salendo” è il titolo di uno degli aneddoti di questo volume, ma lo stesso titolo poteva essere dato a gran parte dei testi, mentre ad altri: “giù scendendo”, giacché lo spazio che separa il grande parco Libanti del quartiere Santa Lucia e le dolci colline che accarezzano Quinzano, sono fonte di versi, rimati dagli elementi della natura che quotidianamente attraverso.
Come fossi un messaggero di fremiti che gli uni portano agli altri.
E’ l’ascolto di questa parola che si fa immagi-nazione, trasposizione spaziale e temporale, che mi induce a dare loro la voce mediante la forma più nobile che il destino ci concede: la poesia.
Un' urgenza, per mantener vivo questo intreccio tra vigne, danza e rime, che mi avvolgono, e scandiscono il ritmo della vita.
Un desiderio di porre mano al completamento di altre rime che scandiscono storie medievali della mia città natia, Pistoia, che ora impazienti, chiedono di venir presto alla luce.
“Arrisentici” dunque, presto!