Poco più che ventenne, insieme a migliaia e migliaia di altri giovani, giunge un lavoro, sicuro, impegnativo, affascinante: macchinista delle ferrovie. Con esso, la libertà: di sognare, di correre liberi nella vita futura, di progettare, esprimersi, integrando il percorso universitario alla conoscenza dei fatti umani in un ambiente fatto di disciplina, rigore, e articolata storia di uomini, da un secolo, avamposto delle idee sindacali e politiche più avanzate.
Si inizia con il tirocinio: aiuto macchinista, macchinista in seconda, che guida sotto lo sguardo vigile e discreto, pronto all’intervento, del macchinista, maestro di tecnica, regolamenti, diritti sindacali, di storia di una professione ad alta densità di conoscenze tecniche e normative.
La locomotiva: l’immagine riflessa del suo sapere, che spazia in ogni suo angolo, di cui conosce i particolari, i segreti del suo movimento, le sue debolezze, e dunque il modo di intervenire, quando fermo sulla linea, arrabbiato per l’impropria manutenzione, si ferma, come il più potente destriero,volteggia la sua chioma, ma avanti non vuol più andare.
Solo dinanzi alle cure e all’amore del suo macchinista, alle sue abili mani che scorrono rapide sugli schemi cartacei e sui più articolati meandri della sua memoria, per poi mettere le sue dita nei punti giusti del dolore, come il più abile dei chirurghi.
E il treno riparte con fiero doppio fischio dell’ammansito locomotore e il mormorio, a volte l’applauso, dei passeggeri, già rassegnati nel mondo dei sogni, su mille elicotteri.
Per un ventenne, non c’è scuola di vita più potente di vedere uomini di tal fatta.
Questi uomini, levigarono come il paziente scorrer d’un ruscello, i sogni di quella gioventù, lasciando i picchi di entusiasmo e impazienza, come fonte primaria dello sgorgare progettuale di impegno e dedizione, che nella passione trova il liquido vitale della tenacia.
Si fusero così gli anziani e i tanti giovani, nuovi venuti, in importanti esperienze sindacali, di democrazia di base, di trasformazione dei diritti e della consapevolezza degli effetti sui propri corpi e sulla salute, di questa pur magica professione.
Firenze, il suo deposito locomotive, divenne punto di riferimento nazionale di un fecondo laboratorio che stimolò la diffusione capillare dei Consigli dei delegati, ridette la vita a un glorioso giornale degli anni ’10, In marcia, intitolandolo in suo onore: Ancora in marcia! , permise la creazione di una nuova rivista, “il Collettivo”, che radunava e guidava in quel momento di grandi lotte, la sinistra sindacale e la potenza propositiva dei Consigli dei delegati.
Da lì a poco, anzichè elicotteri, volarono binari, presi di mira dai manovali della strategia della tensione. Bombe, bombe e ancora bombe.
Morti, paure, militari schierati lungo la linea fra Firenze e Bologna che i macchinisti potevano guardare in quegli occhi che toglievano loro l’ansia sul tragitto intrapreso.
Rabbia, sgomento, in quegli uomini, che portavano dietro di se, in un sol colpo, centinai di vite, nel viaggio, simbolo di futuro, ma possibilità di morte.
Come fu la notte del 12 aprile del ’75 , quando, in prossimità di Incisa Valdarno, una bomba omicida, sui binari, tentò di rovesciare un intero treno sul quieto Arno , e dove solo per coincidenze fortuite e la prontezza dei macchini e del capotreno evitò la tragedia .
Il giovane aiuto macchinista era lì, e con i suoi colleghi ebbe l’encomio per l’azione svolta in quella tragica, fortunosa notte di un Italia martoriata.