Postfazione

Venti poesie racchiuse in un titolo, Incanti, che dice già tutto. Incanti, incantesimi, in canti... Stupori, magie, poesie appunto. Ed è subito ambivalenza. Un'ambivalenza gradita, che permette più livelli di lettura e una libertà sconfinata e mutevole d'interpretazione.

Un miscuglio simultaneo, foss'anche contraddittorio, di emozioni e sentimenti percorre difatti tutta la raccolta, sprigionato dalle parole (a cominciare da certi titoli); dal loro uso in combinazioni che ne dilatano il senso fino a stravolgerlo; dal gioco anagrammatico che le ricompone; dalla scelta accurata di termini che esprimono ben più di un significato. Come "miti", ad esempio, in Rinuncia: trattasi di mitologia o di mitezza? E i lamenti di Risacca, in fondo, sono composti o incomposti? E in Meta (una metapoesia, ovviamente; ma anche un traguardo, perché no?)... in Meta, dicevamo, si passa da "incanti" a "incauti" con un abile (agile) cambio di lettera, anzi un capovolgimento clownesco. Dunque, bisticci, allitterazioni, un'intera poesia omovocalica (l'ultima, Mimi, con tutte quelle "i" che piovono a dirotto), tautogrammi (Alba), Sensi e doppi sensi... Chi più ne ha più ne metta.

Consapevoli o no, sottintesi o meno, tali (e tanti) giochi di parole provocano alla lettura reazioni opposte di sdoppiamento e sovrapposizione: tutto appare nitido quanto sfuocato. A piacere. Le identità sono forti, nette, essenziali, dai contorni precisi e taglienti e lucenti. Ma a ben vedere sono anche sfumate, cangianti, inafferrabili nella loro molteplicità, nella loro "espansione".

Così nella forma (apparentemente sintetica, segreta, incisiva, e tuttavia traboccante di significati, e perciò espressiva, transitiva) si riscontra il gusto istrionico del (doppio)gioco enigmistico ed enigmatico di una costruzione orchestrata con rigore logico e caparbia sapienza, adottando scelte obbligate, autoimposte, le quali - nell'incombente dissoluzione dei nessi logici - elettrizzano e sortiscono effetti sorprendenti, finanche insperati. Una scrittura dal ritmo narrativo scoppiettante e al contempo intrisa di solennità barocche; fatta di versi rudi e scorticanti (/Insonno/, /Veglia/) oppure sontuosi (/Rose/), sempre condotti con sapiente perizia metrica; e densa di atmosfere drammatiche, disincantate, impetuose, magnetiche, persino maestose (/Al nonno scomparso/). Una scrittura non a caso vicinissima a quella musicale e all'architettura (la "dolce fanciulla" di /Riscatto/), tra contrappunti e a/simmetrie impeccabili. Una calligrafia neoclassicheggiante, desueta e austera ma non obsoleta, felicemente immune da preoccupazioni modernistiche. L'evidente ricorrenza di molti vocaboli è una scelta intransigente, un'impronta d'autore, una fedeltà a sè stessi: parole come tessere di un mosaico, composte e ricomposte; come pedine di una scacchiera, dove cavalli, torri e alfieri sono gli stessi, sempre diverse le partite.

L'ambivalenza ritocca anche il senso del tempo, trattato lui pure con precisione cronometrica e subito smentito dall'intervento costante dei participi presenti (o vocaboli aventi pari desinenza: amanti, giganti, canti, invinti, tormenti, venti, lamenti...); il che conferisce all'istante una permanenza infinita. Quasi il tempo si fosse fermato, anzi eternizzato; non fotograficamente congelato, bensì prolungato nella sua tensione e immediatezza e vivezza. Quasi fosse tuttora in essere o in divenire, anziché relegato in un passato remoto (Estate).

Un altro gioco - sibillino, acrobatico, abbagliante - di riflessi, di specchi, di scambi di persona (tra soggetti e oggetti) interviene frequentemente a depistare gli incontentabili da un'evidenza troppo superficiale, inducendo una suggestione labirintica, di smarrimento, che avvince ancor di più, coinvolge in prima persona, e sollecita una maggior intensità percettiva; rivelando un inventario di destini incrociati nella cornice di universi paralleli.

E se ancora non basta, sonorità echeggianti, circolari (L'ora, Risacca) si propagano e si concentrano con vibrante intermittenza, suscitando sensazioni a 360°, dove gli estremi, gli opposti non possono che toccarsi, colmando le distanze, fondendosi in un atto d'amore. Così i corpi che sono o diventano tutt'uno col paesaggio, inestricabilmente. Così vertici e abissi, silenzi e boati, lampi di luce e fondali notturni (Luna). Così le figure umane, quasi esclusivamente femminili: non dissimili tra loro; né divergenti dalla sensibilità maschile che le rivisita con passione amorosa; né lontane nel tempo e nello spazio, grazie anche a una loro evidenza cinematografica che le dota di movimento, di un respiro, un soffio - un impeto - vitale, strappandole all'oblio (Incanto). Con ciò si perpetua e si riconferma il senso del tempo di cui sopra. E lo scrivere diventa un atto di fede nella continuità e nella vita contro l'abbandono e la morte.

Alba Avesini

Verona, 23 marzo 1995


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